Delvecchio: “Nei derby per me era una magia. E se Ranieri fosse arrivato prima…”

Servirebbe uno psicanalista di fiducia per spiegare la metamorfosi di Marco Delvecchio nei derby contro la Lazio. Attaccante duttile, generoso, spesso sacrificato a tornante, ma capace di accendersi proprio quando contava di più: nove gol in diciassette stracittadine, autentico spauracchio per la difesa biancoceleste. E oggi, con la Roma a un bivio, Delvecchio torna a raccontare il suo legame con il derby, il passato e il futuro giallorosso.

“Non c’era nessuna pozione magica. Solo tranquillità”

“Non c’era alcun incantesimo, affrontavo il derby con serenità. Ne sentivo l’unicità, certo, ma non lo subivo. Forse anche perché, come si dice, ‘non sei romano’… ma attenzione: io sono romano. Sono nato a Milano, è vero, ma mi sento più romano nel carattere, nell’esuberanza. Quando arrivai alla Roma chiesi subito di restare. Un posto così non lo trovi da nessun’altra parte”.

La Roma le ha fatto gli auguri per il compleanno: nessuna voglia di tornare a Trigoria?

“Con la Roma ho un ottimo rapporto, ma sto bene così. Se ci fosse l’idea di un progetto comune, ne parlerei volentieri. Per ora resto spettatore, ma tornerò all’Olimpico per Roma-Verona”.

Il derby più bello? Il 3-1 del 1999. Una svolta

“Ricordo con più piacere il 3-1 con Zeman. Eravamo reduci da quattro sconfitte consecutive nei derby, all’andata avevamo pareggiato 3-3. Quella vittoria fu una liberazione, segnai due gol io e uno Francesco (Totti). Da lì la storia dei derby cambiò: iniziammo a vincerne tanti”.

Nonostante il ruolo spesso sacrificato

“Capello, nell’estate del 2000, mi disse: ‘Vuoi vincere lo scudetto? Allora gioca all’ala e corri avanti e indietro’. Era l’unico modo per giocare accanto a Batistuta, Totti e Montella. Accettai, perché per me contava esserci”.

Un incubo per la Lazio

“Dopo i primi 2-3 gol nei derby, si sentiva nell’aria che avrei segnato ancora. Me lo dicevano i tifosi, mi portavano magliette celebrative a Trigoria. Lo temevano anche i laziali. Una volta giocai il derby dopo quattro mesi di stop per fascite plantare, avevo fatto solo la rifinitura. Arriva la palla giusta… gol. Era una congiunzione astrale”.

Chi è oggi il “Delvecchio” della Roma?

“Mi auguro Dovbyk. È stato criticato, ma ha segnato quanto Lautaro al primo anno di Serie A. Non mi sembra abbia fatto male. È mancino come me e lo vedo al centro della Roma del futuro. Tifo per lui”.

Champions difficile?

“Poche speranze, onestamente. Molto dipende dalla partita di domenica. Il calendario è complicato, e ci sono tanti rimpianti: questa squadra ha un organico di alto livello”.

De Rossi, Juric, Ranieri: troppe rivoluzioni?

“Mi chiedo dove sarebbe la Roma se Ranieri fosse stato in panchina dall’inizio. Con tutto il rispetto, se mandi via De Rossi non puoi prendere Juric. Non era il profilo giusto per la Roma”.

E dal primo luglio?

“Affiderei tutto a Ranieri. Lo so che non ha voglia, ma sarebbe la scelta ideale. Altrimenti spero arrivi un allenatore che conosce bene la Serie A. Niente esperimenti, servono certezze”.

Qual è la sua certezza?

“Se la società fa i ritocchi giusti dove servono, la Roma è pronta per competere da subito”.

Per cosa?

“Per lo scudetto. Non ho dubbi”.

REDAZIONE

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