Esattamente 110 anni fa, il 22 aprile 1915, nasceva Dino Viola, il presidente che costruì la Roma più vincente della storia. Il suo ricordo, ancora vivo, è nel mito di quel periodo a cavallo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, in cui la Roma divenne “Magica”.
Rilevata la Roma nel 1979 da Anzalone, salvatasi dalla Serie B per un solo punto, “L’Ingegnere”, come veniva chiamato in contrapposizione ad Agnelli il cui soprannome era quello di “Avvocato”, capì che per far vincere i giallorossi serviva cambiare la mentalità e cercò di plasmare il nuovo corso con il suo carattere, in parte distaccato ed in parte anche antipatico, ma sicuramente diverso rispetto alla conduzione dei presidenti che lo avevano preceduto.
Per lui, toscano divenuto romanista da studente frequentando campo Testaccio, fu facile imporre un modo di reagire alle avversità differente, più pragmatico e programmatico, in netta contrapposizione con il vittimismo quasi rassegnato che accompagnava i tifosi romanisti negli anni Settanta.
Prendere Liedholm dal Milan fu la prima mossa vincente, comprare un brasiliano riccioluto e poco avvezzo ai fronzoli ma di grande carisma di nome Falcao quella decisiva. Il “Divino” proiettò la Roma, fino ad allora abituata a navigare a metà classifica, ad ingaggiare un duello senza esclusione di colpi contro la Juventus, potenza incontrastata del calcio italiano.
Vinse subito, sin dal primo anno. Fu una delle quattro coppe Italia della sua gestione e poi, dopo anni di crescita esponenziale, arrivò lo Scudetto nella stagione 1982/83 riportando il titolo a Trigoria dopo oltre 40 anni.
Il punto più alto della sua gestione fu la sfortunata notte del 30 maggio 1984, quando la Roma perse in casa contro il Liverpool la finale di Coppa dei Campioni ai rigori: una beffa che segnò la fine del suo primo ciclo.

“La Roma non ha mai pianto e mai non piangerà: perché piange il debole, i forti non piangono mai”.
Dino Viola, dopo la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni
Dopo un anno di transizione, la Roma guidata da Eriksson sfiorò di nuovo lo scudetto nel 1985/86, perso alla penultima giornata contro il derelitto Lecce che sbancò incredibilmente l’Olimpico vincendo per 3-2, permettendo alla Juventus di prendere il largo dopo una rincorsa incredibile.
Tante vittorie, tanti rimpianti di una squadra meravigliosa composta da campioni che sono diventati mitologia romanista: Falcao, Tancredi, Pruzzo, Bruno Conti, Ancelotti, l’indimenticato Di Bartolomei, Nela, poi Graziani, Cerezo e Boniek e tanti altri campioni.
Il giorno della sua morte, il 19 gennaio 1991, i tifosi giallorossi si riversarono nelle strade per dare l’ultimo saluto a quel presidente che per la Roma aveva dato tutto, forse rimettendoci anche la salute, ma che dalla gente della Roma aveva ricevuto tanto.
Il giorno dopo, in un uggioso pomeriggio domenicale, in un Roma-Pisa in cui la squadra, sconvolta, perderà 2-0 senza mai realmente giocare, la Curva Sud riassumerà come sempre nel migliore dei modi tutti i sentimenti che non si possono esprimere a parole esponendo un lungo striscione:
“Roma dai sette colli tramanderà la storia di un uomo che, da solo, le ha dato tanta gloria. Ci hai lasciato un vuoto incolmabile, addio caro presidente” Curva Sud, 20 gennaio 1991
