Mancini a cuore aperto: “Roma è casa. De Rossi ha cambiato il mio modo di stare in campo”

Gianluca Mancini si racconta senza filtri ai microfoni di TV Play. Dalla trasformazione personale al rapporto con allenatori e compagni, fino al sogno della Nazionale e a un possibile futuro in Premier League: il difensore della Roma si mette a nudo, con la schiettezza di chi non ha mai avuto paura di dire ciò che pensa.

Un carattere forte, da modellare

“Quando è arrivato De Rossi, un suo collaboratore mi salutò in modo strano. Dopo pochi giorni mi disse che inizialmente non mi sopportava, che addirittura mi avrebbe messo sotto con la macchina – racconta sorridendo – ma poi si è scusato. Aveva capito che ero un ragazzo diverso da quello che sembravo in campo. Sto cercando di migliorarmi”.

Una frase che sintetizza bene il percorso di crescita di Mancini, passato da essere un difensore irruento e impulsivo a un leader più equilibrato. “Ranieri, quando mi ha visto la prima volta, mi ha detto che da avversario mi odiava. Prendevo troppi cartellini, protestavo sempre, rovinavo le mie partite. Con De Rossi è iniziato un percorso diverso, anche nei rapporti con gli arbitri. Non voglio più essere visto come un fastidio”.

Duttilità e apprendimento continuo

Nel corso degli anni, Mancini ha ricoperto diversi ruoli. “Fonseca mi mise centrocampista per emergenza, ma oggi non potrei più farlo. Ho giocato braccetto, terzino, centrale. Nella difesa a tre mi trovo bene, ma anche con la linea a quattro, con Mourinho e De Rossi, ho trovato equilibrio”.

Fondamentale l’arrivo di Mats Hummels. “Mi sta insegnando tanto, anche fuori dal campo. Vederlo giocare a 36 anni a quei livelli è una lezione continua. Un giorno gli dissi che su un intervento in scivolata io avrei preso 7 rossi, ma lui si rialzò come nulla fosse”.

Nazionale, gruppo e spirito di squadra

Il sogno azzurro resta vivo. “Spalletti mi ha dato fiducia portandomi all’Europeo. Purtroppo è andata male, ma sono grato per le opportunità. Se non arriverà la convocazione, tiferò comunque come sempre”.

E poi il tema del gruppo, fondamentale in ogni spogliatoio. “Accettare la panchina? Certo, fa parte del gioco. Ma se accade spesso, mi faccio delle domande e parlo con il mister. L’‘io’ non esiste, esiste il ‘noi’. Entrare e dare tutto anche per pochi minuti è un dovere”.

Tra i compagni, un pensiero ai due portieri: “Rui Patricio era fortissimo, ma ora Svilar sta facendo benissimo. Parla, dà sicurezza, interpreta il ruolo moderno alla perfezione”.

Allenatori e identità

Mancini non si schiera nel dibattito tra “giochisti” e “risultatisti”: “Seguo le indicazioni dell’allenatore, chiunque sia. Con De Rossi lavoravamo tantissimo sulle uscite dal basso, mentre Mourinho curava in modo maniacale la fase difensiva. Ogni mister lascia qualcosa”.

Sulla città e sulla Roma, parole che scaldano il cuore dei tifosi. “Roma è passione pura. Ti caricano ogni giorno. A Bergamo non c’era questo calore. Qui scendi in campo anche per la gente. Quando vedo i tifosi accogliere i nuovi acquisti a Fiumicino mi emoziono”.

Un futuro in Premier?

“Sì, se dovessi andare all’estero mi piacerebbe l’Inghilterra. In Italia si gioca in stadi belli e pieni di passione, ma l’Olimpico è un’altra cosa: ogni domenica è come una finale”.

La sua top 11

In chiusura, anche la sua “top 11 mondiale”, senza romanisti: “Donnarumma in porta, Arnold a destra, Rudiger e Van Dijk centrali, Bruno Mendes a sinistra. A centrocampo Modric, Tonali e Musiala. Davanti Rodrygo, Mbappé e Haaland”.

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